Masse, Elite ed Emozioni in cerca della Destinazione Italia.
Il riconoscimento come valore fondamentale (art 9 Cost.) del patrimonio culturale paesaggistico storico e artistico ha rappresentato nei decenni per il settore turistico italiano, più che un vantaggio in assoluto, il presupposto per approfondite indagini concettuali (su “cosa sia turismo e cosa invece non lo sia”); per ricorrenti richiami retorici (quando al turismo si dichiara di affidare le sorti nazionali come ipotetica fonte di salvezza); per l’affermarsi di quel binomio cultura/turismo divenuto riduttivamente il dato essenziale o comunque preponderante di ogni strategia/programmazione pubblica italiana dedicata al settore (la cultura come unica forza motrice del turismo italiano), come peraltro confermato dalla riaffermata collocazione nell’ambito del MIBAC (Ministero per i Beni e le Attività Culturali) della struttura statale politica/amministrativa di riferimento del comparto turismo.
Abbiamo così assistito al transito dal concetto (singolo) di turismo ai concetti (plurimi) di turismi (turismo balneare o del sole e della spiaggia; turismo della montagna; turismo delle area lacustri; turismo nautico; turismo del lusso; turismo accessibile; turismo congressuale; turismo croceristico; turismo lento; turismo dei parchi tematici; turismo culturale con le sottocategorie del cineturismo e del turismo enogastronomico; turismo sportivo con le sottocategorie del cicloturismo e del turismo del golf; turismo termale; turismo rurale; turismo di ritorno; turismo medico; turismo solidale; turismo religioso con le sottocategorie dei pellegrinaggi, grandi viaggi e viaggi monacali; turismo esperienziale, ….) pur rimanendo stabile la mancanza di un impulso concreto al comparto al quale pure si riconosce incidenza economica importante in termini di PIL e di occupazione ma che continua a non essere inquadrato come destinatario di misure organiche e coerenti.
Il Turistico-alberghiero è la cartina di tornasole del grado di consapevolezza di un Paese
E’ un dato positivo che il Country Brand Index, che definisce ogni anno l’appeal di una destinazione agli occhi dei viaggiatori internazionali, nel 2019 posizioni l’Italia al 14° posto con un recupero rispetto all’anno precedente di 4 posizioni verso l’alto. Ma non è un dato accettabile che un Paese con connotazioni così forti e distintive da venir percepito a livello mondiale come Brand dotato di claim identitario assoluto (Italian Way of Life), di questa classifica abbia perduto il gradino più alto del podio nel 2007 cominciando in quell’anno una scivolata verso il basso.
Le ragioni sono note. Ogni cartolina del Belpaese reca sullo sfondo l’incidenza penalizzante dei contesti, contesto di governance normativa e contesto di policy, entrambi tali da impedire all’Italia di cogliere i cambiamenti vissuti dal comparto negli ultimi anni, dove l’ascesa della digitalizzazione e le modifiche degli assetti geoistituzionali non si sono limitati ad individuare nuove mete turistiche e nuovi flussi di viaggiatori ma hanno modificato i modelli di business e introdotto nuovi meccanismi di trasmissione dell’impatto economico che deriva dallo sviluppo del comparto medesimo.
Come molto spesso in Italia, anche il settore turistico soffre per una governance normativa frammentata e disomogenea dal punto di vista delle competenze legislative e amministrative, attualmente ripartite in modo poco razionale e scarsamente efficace tra Stato e regioni.
La riforma nel 2001 dell’art 117 cost., la scomparsa della materia “industria alberghiera” a favore della materia “turismo”, la sostituzione della competenza concorrente tra stato e regioni con la competenza esclusiva residuale delle regioni, la legiferazione regionale in ordine sparso e con oggetti disparati, la permanenza di porzioni importanti dei preesistenti corpi normativi di matrice statale (la legge quadro 135/2001, il Codice Nazionale sul Turismo d.lgs.79/2011 uscito fortemente ridimensionato dall’intervento della sentenza corte costituzionale 80/2012, il decreto Art bonus del 2014 e i progetti di riforma legislativa del 2019 nella forma della delega al governo in materia di turismo, affidati alla X commissione) e il proliferare di enti pubblici non territoriali (primi tra tutti ENIT, ACI, CAI) e di enti privati a rilevanza pubblica (in primis TCI) dotati di funzioni anche solo consultive/partecipative hanno prodotto una stratificazione confusa e scoordinata di regole, una frammentizzazione di competenze; d’altra parte anche le linee di policy elaborate a livello centrale (Turismo 2020, Destinazione Italia, Crescita digitale, Comitato permanente di promozione del turismo in Italia, ecc..), dove si segnala l’instabilità delle formula organizzativa con cui si è declinata l’amministrazione di riferimento (cambiata sei volte in 10 anni), si sovrappongono tra di loro numerose, contraddittorie, scarsamente sistematiche e solo in parte attuate.
L’indicazione più coerente e pragmatica viene dal livello sovranazionale dove, nel rispetto delle prerogative dei singoli stati in una materia riconosciuta fortemente identitaria e dunque a ragione oggetto di competenze gelosamente custodite, l’Europa quando si è decisa ad intervenire (solo con l’entrata in vigore del trattato sul funzionamento dell’UE – art 6, lett d) e art 195 TFUE l’UE ha acquistato una nuova competenza nel settore turismo) ha deciso per un verso di limitarsi “al sostegno, completamento e coordinamento dell’azione degli Stati membri ai quali rimane la competenza legislativa, regolamentare e amministrativa in materia”; e per l’altro ha deciso in maniera esplicita e netta in merito agli obiettivi (il turismo come settore chiave per contribuire alla realizzazione della Strategia Europa 2020) e alle linee di intervento (la promozione della competitività delle imprese).
Senza possibilità di fraintendimenti il cuore della policy europea sul turismo (affidata non a caso alla DG Growth che si occupa di Mercato Interno, Industria, Imprenditoria e PMI) è rappresentato dalle Imprese cioè dalla dimensione imprenditoriale e industriale di quel fenomeno che impatta tra il 3% e il 5% del PIL UE e che contribuisce all’occupazione UE per quasi il 6% senza considerare che accorpando anche i settori collegati (trasporti, edilizia, ambiente, cultura) il contributo rispettivamente arriva al 10% e supera il 12%.
E in coerenza anche con le indicazioni dell’OCSE, l’Europa a vantaggio e in funzione delle imprese turistiche ha promosso Programmi Quadro, l’Osservatorio virtuale sul turismo, I principi europei sulla qualità dei servizi turistici; e veicolato le risorse finanziarie attraverso gli strumenti di politica di coesione (fondi Fers e fondi SIE) e i nuovi programmi elaborati nell’orizzonte temporale 2020 per i progetti indirettamente (Life/Europa Creativa/Erasmus/EaSI), parzialmente (Horizon), specificamente (Cosme) aventi come obiettivo lo sviluppo delle imprese turistiche europee.
L’approccio europeo ha indotto (costretto) il legislatore italiano ad affrontare la strada del riconoscimento del turismo come settore industriale centrale per la crescita, anche sostenibile, del paese e meno funzionale rispetto a singoli settori come la cultura o il commercio ma siamo ancora molto lontani dalla previsione di quelle misure concrete fiscali e contributive di stimolo alla crescita delle imprese turistiche, di promozione della semplificazione burocratica a vantaggio anche degli investimenti stranieri, di coordinamento delle competenze cui si chiede l’adozione di criteri unitari a livello nazionale nelle principali materie (ad esempio la classificazione delle strutture ricettive) e il miglioramento delle infrastrutture (anche digitali) e dei servizi pubblici complessivi.
Lo Studio assiste tutte le diverse tipologie di imprese che animano il settore turistico – alloggio, ristorazione, trasporti, intermediazione, servizi anche digitali, editori e compagnie di assicurazioni – con consulenza stragiudiziale e giudiziale sia in ambito B2B che B2C nell’interpretazione delle normative, nella gestione dei reclami, nella redazione della contrattualistica specifica.
In particolare, per il comparto alberghiero lo Studio si avvale dell’analisi costante delle caratteristiche del sistema italiano che si propone con innegabili punti di forza (elevato numero complessivo di camere, presenza di strutture di elevato livello qualitativo, radicamento stabile sul territorio) e altrettanto noti elementi di debolezza (basso tasso di occupazione netta, scarsità di cd. grandi strutture oltre le 100 camere, marginalità delle catene alberghiere).
E in relazione a tale specifica categoria di clientela sono stati elaborati gli Hospitality Format, servizi di consulenza specifica, funzionali da un lato a superare le problematiche contingenti dell’imprenditore alberghiero (fiscalità, gestione risorse umane, esternazionalizzazione dei servizi, rapporti con le autorità di settore); dall’altro a progettare interventi strategici dall’orizzonte temporale di medio/lungo periodo fondati sull’innovazione con modelli non tradizionali di ricettività (albergo diffuso) o sull’aggregazione (partecipazione alle reti di impresa/ai distretti turistici) in vista di quei processi di miglioramento della specializzazione e della qualificazione del singolo operatore anche attraverso la riorganizzazione della filiera turistica.
In particolare, grande attenzione viene dedicata dallo Studio al ruolo che la finanza riveste nel settore alberghiero, in termini di strumento per consentire la scissione tra proprietà dell’immobile e gestione dell’impresa alberghiera e conseguente insediamento di modelli di business fondati sulla collaborazione interaziendale che accanto alle formule tradizionali (affitto di azienda/ramo di azienda, franchising agreement) vede affermarsi figure nuove (management contract, condhotel).